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		 Giorgione a Montagnana (parte sesta)
		 di Enrico Maria Dal Pozzolo
  
		
		  
	A questo punto si può trarre un primo consuntivo. 
Se di Buonconsiglio si tratta, è difficilmente dimostrabile. Gli affreschi aprirebbero una parentesi 
assai breve nel percorso che di lui conosciamo: in essa l'accostamento al giovane di Castelfranco si 
rivelerebbe entusiastico e profondo, in grado di comprendere il significato della sua svolta sia 
stilistica che più ampiamente,  culturale. Il luogo che poté accogliere tale confronto fu forse, 
più che la caotica "grande madre" Venezia, proprio Montagnana; ed in questo modo acquisterebbe 
ulteriore respiro, dilatandone le conseguenze, la notizia del soggiorno del maestro di Castelfranco.
  
 
Nel caso invece dovessimo credere ad un personale intervento di Giorgione, come ci sembra preferibile, 
è ovvio che esso verrebbe a cadere più o meno a metà fra gli unici due suoi lavori ad affresco giunti 
fino a noi: il Fregio di casa Marta Pellizzari - che non possiamo non credere precoce 
(la data convenzionale è il 1500, ma forse è ancora prima) - e le decorazioni del Fondaco dei 
Tedeschi del 1508, dove la maniera dell'artista è ormai definitivamente persa in se stessa, 
libera ed effusa, surriscaldata e magmatica: "la carne mista col sangue" di cui parla Boschini e 
che inizia a palpitare sentitamente nella Laura di Vienna, che è del 1506. 
  
Dunque circa 1502-04, entro una fase abbastanza giovanile che renderebbe giustizia anche di talune 
disuguaglianze qualitative che sono in vero individuabili; mai quante, però, nel Fregio di Castelfranco 
o nella controversa Maddalena già i collezione milanese (se pure gli appartiene) a testimonianza che, 
al di là di ogni sormontante litografia, un Giorgione "acerbo" pure esistette. Si noti che sono 
esattamente gli anni in cui a Montagnana si registra una decisiva congiuntura di committenza. 
Nel 1504 si fonda il convento francescano delle Grazie; nell'ottobre del 1502 quello femminile di 
San Benedetto; l'8 settembre dello stesso anno, ed è il dato più significativo, viene solennemente 
consacrato il Duomo.
  
 
Comunque sia, quel che è certo è che Giorgione fu a Montagnana; ce lo dice lui stesso nel disegno 
di Rotterdam.
Ma perché tale presenza?
È impossibile rispondere con esattezza a questa domanda. I motivi potrebbero, ovviamente, 
essere mille: immaginabili o meno. Allo stato attuale delle conoscenze ci sembrano percorribili 
solo tre vie, di diversa natura.
La prima è che il pittore sia passato per la città mentre si dirigeva a Bologna. 
  Essa si trova infatti 
al centro delle comunicazioni fra il Veneto e l'Emilia, in una direttrice assai buona per quel che 
riguardava la praticabilità, la sicurezza e le opportunità di ricovero. Il viaggio a Bologna è 
un'acquisizione recente, e per nulla certa. Esso prende corpo da una pagina molto densa di Roberto 
Longhi nel Viatico, nella quale si riconoscono "tanti riflessi emiliani nel quadretto con la 
"Prova del fuoco" agli Uffizi e si stabilisce un nesso tra la Pala di Castelfranco e la poetica di 
Francia e Costa. Questa ipotesi ha goduto e gode di molto favore, al punto che recentemente Roger 
Rearick ha individuato proprio in Costa il vero maestro di Giorgione. 
  
È impossibile essere 
tout court d'accordo. Certo è che esistono degli indizi di un transito del pittore attraverso il 
territorio padovano anche a prescindere dal disegno olandese. Il contatto quasi certo con Giulio 
Campagnola, ad esempio, che la critica pone tra il 1499 ed il 1504. Oppure il carro carrarese 
che l'artista dipinge su di un edificio della Tempesta, che ha spinto uno studio recente a cercare 
addirittura una "paduan key" al quadro, proponendo l'immancabile relazione con le vicende di Cambrai, 
e quindi una datazione tardissima alla fine del 1509. Ma il capolavoro delle Gallerie veneziane 
stilisticamente non sembra stare così avanti (alcuni suggeriscono il 1502-03); mentre con sufficiente 
concordia lo si ritiene coevo al foglio di Rotterdam. E, guarda caso, l'emblema carrarese si trova 
effigiato anche all'entrata della Rocca degli Alberi di Montagnana.
  
La seconda possibile traccia da seguire ci conduce entro la cerchia del Buonconsiglio. Considerando 
infatti lo status e la continuità con cui egli opera a Montagnana, ed insieme i segnali della 
reciproca conoscenza, ci si può chiedere se sia del tutto assurda l'idea che - magari in un periodo 
in cui le commissioni erano così numerose da accavallarsi - non possa aver coinvolto il più giovane 
artista in un legame di consorteria. 
  
Noi sappiamo che simili rapporti intercorsero nella vicenda di 
Giorgione: a partire dal Giudizio di Salomone degli Uffizi (dove è evidente l'intervento di una 
seconda mano a tracciare le figure), per passare attraverso l'enigmatica scritta sul verso della 
Laura di Vienna (dove è detto "cholega de maistro vizenzi chaena"), fino a giungere all'assodata 
collaborazione con Tiziano al Fondaco. In questo caso dovremmo immaginarlo non ancora impostosi 
nel panorama lagunare, ed interrogarci anche sulla verificabilità di una qualche relazione tra i 
due antecedente agli affreschi.
  
La terza via d'indagine, forse più afferrabile e concreta, si lega agli interessi che un certo 
patriziato veneziano curava in terraferma, specificatamente a sud, nel basso padovano. È ormai 
patrimonio critico acquisito il rapporto d'amicizia fra Giorgione ed alcuni suoi coetanei 
committenti. Fra questi uno solo dimostra di avere degli interessi privati a Montagnana: Gerolamo 
Marcello. Egli in una serie di atti che vanno dal 1520 al 1538, denuncia l'acquisizione di 
vari campi e mulini "posti sotto Montagnana in la villa del Frasino ". 
  
Purtroppo le date sono 
successive a quelle che supponiamo per gli affreschi, e ciò costituisce un problema. Tuttavia, per 
una serie di motivi, si può supporre che la scelta di tale territorio quale sede dei suoi possedimenti 
fondiari abbia una radice più profonda. E qui scendiamo nel campo infido, davvero insondabile, dei 
rapporti fra rami diversi della stessa famiglia. 
  
 Anzitutto va ricordato che nel 1507 egli sposò una 
figlia di Antonio Pisani, ossia di un esponente di quel casato che a Montagnana aveva l'assoluta 
preminenza della proprietà terriera, in un processo di insediamento che, avviato nella seconda metà 
del Quattrocento, culminò nella costruzione del palazzo palladiano del 1552-55. Ma gli stessi 
Marcello avevano radicamenti nella zona. Come non ricordare la grande, splendida, Cà marcello a 
Monselice, non molti chilometri a nord, di proprietà degli eredi del condottiero Jacopo Antonio?. 
  
Nello stesso circondario di Montagnana esisteva poi una località denominata, per l'appunto, "Marcella", 
situata a nord, nei pressi del fiume Frassine: qui un esponente della stessa famiglia - Pietro del fu 
Giacomo - denuncia nel 1518 una casa con brolo e campi. Così nel territorio della città, ad Urbana e 
Noventa, all'inizio del '500 troviamo la residenza di un Gerolamo Marcello veneziano, assolutamente 
omonimo e coetaneo del committente di Giorgione. Ed ancora: nei tempi che abbiamo ritenuto i 
più probabili per l'esecuzione degli affreschi, podestà di Montagnana è appunto un Marcello: Francesco di Vittore, 
in carica dal 23 aprile del 1503 al 20 settembre del 1504.
  
 
Si tratta di indizi che non possono non far riflettere e che richiedono, in tal senso, un 
supplemento di indagini che ci ripromettiamo. Purtroppo esse si scontrano con la difficoltà di trovare a 
Montagnana qualcosa che, relativamente al primo decennio del secolo, sia più di un brandello 
documentario: infatti nell'archivio arcipretale non vi è nulla che si riferisca ai dipinti, 
mentre quello del Comune è stato più che impoverito, falcidiato da incendi e dispersioni, a partire 
dalla guerra di Cambrai.
  
Dunque, e concludiamo, la discussione si sposta ora sugli affreschi. In qualsiasi modo li si 
consideri, essi sono testi inquietanti, da recuperare criticamente ma anche fisicamente, con un 
restauro che li liberi dalle sovrabbondanti ridipinture. Solo allora, forse, conosceremo la 
conclusione di questa vicenda. Per intanto limitiamoci ad interrogare Giuditta e la sua bellezza 
misteriosa. Scrutiamo il malconcio David, che ci fissa con occhio di falco, quasi a dire e non dire 
ciò che sa. 
  
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Ringraziamo il Prof. Lionello Puppi che per primo ha creduto alla possibilità "impossibile"
all'attribuzione a Giorgione di questi dipinti, invitandoci a indagarla.
  
CRITICA D'ARTE  N.8 - ottobre-dicembre 1991
  
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